Claudio Paolucci ricostruisce la svolta semiotica di Umberto Eco, evidenziando come essa sia il risultato di una progressiva apertura del pensiero di Eco alla contaminazione tra domini eterogenei. Eco stesso racconta: «Agli inizi degli anni Sessanta mi trovo di fronte a un problema teorico: lavoro da un lato sulle espressioni più avanzate ed elitarie dell’arte contemporanea, ma cerco di spiegare anche i fenomeni delle comunicazioni di massa. Sono convinto che non siano due universi separati, anche se sono sovente in opposizione: deve trattarsi delle due estremità di una stessa catena di linguaggi».
Da questo interrogativo nasce l’incontro con la semiologia, che Eco colloca nei “gruppi francesi, Barthes in testa”, per poi ampliarsi con Roman Jakobson e con “gli studiosi dei segni di tutto il mondo”. Secondo Paolucci, questo processo di incontro e contaminazione sfocerà nella creazione di una teoria semiotica unificata che Eco svilupperà in testi come La struttura assente, Le forme del contenuto e Trattato di semiotica generale, sempre all’insegna di una tensione tra apertura e sistematicità.
L’influenza dello strutturalismo è determinante: Eco è colpito dall’idea che l’identità sia un sistema di relazioni, piuttosto che un’essenza. Paolucci ricorda l’esempio del treno Ginevra-Parigi delle 20.45: «L’identità del treno […] non consiste né nei suoi vagoni né nel suo personale […], bensì nel sistema di rapporti interni al sistema ferroviario europeo». È l’idea di una topologia relazionale che Eco ritrova anche in Saussure e che lo spinge a confrontare elementi eterogenei appartenenti a domini diversi.
Questo percorso porta Eco a incontrare la nozione di interpretante di Peirce: «Secondo Peirce, al fine di conoscere gli oggetti, noi usiamo dei mediatori che ne prendono il posto: i segni». Ogni segno rimanda a un altro segno, in un processo infinito di mediazione: «Un interpretante è proprio questa rappresentazione mediatrice, questo altro segno che traduce il primo segno in un sistema eterogeneo, facendoci conoscere qualcosa di più sul suo oggetto».
Paolucci sottolinea come Eco assuma questa nozione di interpretante come cuore della sua semiotica interpretativa, facendo dell’interpretazione «una filosofia del passaggio e della mediazione tra domini». Per Eco, spiega Paolucci, la semiotica non è tanto la scienza dei segni in sé, ma «una disciplina interpretativa» che tiene insieme «domini lontani nell’Enciclopedia del sapere», facendoli comunicare.
Riferimento bibliografico: Claudio Paolucci, Umberto Eco. Tra Ordine e Avventura, Feltrinelli, Milano 2017