Martin Švantner osserva che Peirce identifica la semiotica con la logica, assumendo che «Semiotics is another name for logic». Questa equivalenza non comporta la mera sovrapposizione di due discipline, ma definisce un ampliamento della logica stessa, che comprende sintassi, semantica, pragmatica e una «speculative grammar» dedicata allo studio delle condizioni formali del segno. Alla logica così intesa appartengono anche l’«ethics of terminology», orientata alla crescita teleologica dei simboli, e una concezione della retorica che riguarda gli effetti prodotti dai processi di semiosi.
La logica diventa il quadro entro cui si articolano le condizioni del significare e le modalità attraverso cui il segno determina un interpretante. La semiosi non viene descritta come una struttura statica, ma come un processo in cui il segno media la relazione con l’oggetto e genera ulteriori interpretanti, secondo una dinamica potenzialmente «ad infinitum».
Questa impostazione presuppone anche un fondamento ontologico, poiché la semiosi coinvolge modalità dell’essere che non possono essere ridotte a un formalismo. La relazione tra segno e oggetto include forme di realtà che condizionano la possibilità della conoscenza. Peirce considera indispensabile il riferimento agli oggetti reali: «science does not work—and science evidently works». La costituzione del segno implica dunque l’intreccio tra pensiero, relazione e realtà.
Da questo punto di vista, la logica/semiotica comprende la crescita dei segni, i loro effetti, le loro funzioni inferenziali e la continuità dei processi interpretativi. La descrizione della semiosi diventa una «struggle to describe the action and function of objects as a signs», un compito che richiede di assumere la relazione triadica tra oggetto, segno e interpretante come struttura originaria dell’esperienza conoscitiva.
Riferimento bibliografico: Martin Švantner, Struggle of a Description: Peirce and His Late Semiotics, in Human Affairs, 24, 2014, pp. 204–214.
