Francesco Galofaro riprende e rielabora la distinzione tra semiotiche connotative e metasemiotiche formulata da Hjelmslev, sottolineando come questa non possa essere ridotta a una semplice relazione tra piani dell’espressione e del contenuto. La distinzione più significativa, infatti, è quella tra semiotiche scientifiche e non scientifiche.
Galofaro chiarisce che una semiotica è metasemiotica non solo perché uno dei suoi piani è un’altra semiotica, ma perché essa segue il principio empirico: tutte le metasemiotiche sono per definizione scientifiche. Ne consegue che non è la configurazione dei piani a determinare la scientificità, bensì l’adesione metodologica a criteri formali e oggettivi.
Hjelmslev distingue tra semiologia (una semiotica scientifica che ha come oggetto una semiotica non scientifica) e metasemiologia (una semiotica scientifica che ha come oggetto un’altra semiotica scientifica). Questo vocabolario si pone in continuità con le teorie logiche di Tarski e Carnap, adottando termini come “linguaggio-oggetto” e “metalinguaggio”.
Galofaro sottolinea che, per Hjelmslev, i concetti di espressione e contenuto non sono sufficienti a fondare una distinzione sostanziale tra i piani: una semiotica connotativa, se rispetta il principio empirico, è a pieno titolo una semiotica scientifica. La scientificità non coincide dunque con una struttura formale data, ma con il modo in cui essa è trattata. È questo approccio che consente di tracciare una vera e propria gerarchia di semiotiche, con la metasemiotica al livello più alto.
Riferimento bibliografico: Francesco Galofaro, METASEMIOTICHE. Una ricognizione epistemologica, Bologna, 2005