Nel quadro delle macrosemiotiche, Greimas e Courtés mettono in evidenza un principio decisivo per la teoria semiotica: le lingue naturali sono le uniche in cui sono traducibili tutte le altre semiotiche, mentre l’inverso non è possibile. Questo asimmetrico rapporto di traducibilità è spiegato da due ordini di motivi.
Anzitutto, “le figure del mondo naturale sono semanticamente codificate nelle lingue naturali”. Ciò significa che i contenuti figurativi e percettivi del mondo vengono integrati e strutturati attraverso categorie linguistiche già disponibili, che consentono la loro codificazione semantica.
In secondo luogo, “le lingue naturali sono le uniche capaci di lessicalizzare e di manifestare le categorie semantiche astratte (o i primitivi/universali) che restano generalmente implicite in altre semiotiche”. In altri termini, mentre molte semiotiche operano attraverso significazioni contestuali, implicite o non formalizzate, le lingue naturali possiedono strumenti per rendere espliciti i concetti astratti, per nominarli e organizzarli in forma lessicalizzata.
Per questa ragione, le lingue naturali non sono soltanto semiotiche fra le altre: esse rappresentano un livello superiore di organizzazione semiotica, capace di inglobare, descrivere e tradurre segmenti di semiotiche differenti. È in questo senso che gli autori le definiscono “i luoghi d’esercizio dell’insieme delle semiotiche”, attribuendo loro un ruolo centrale nella costruzione e nella manifestazione del senso.
Riferimento bibliografico: Algirdas Julien Greimas, Joseph Courtés, Semiotica. Dizionario ragionato della teoria del linguaggio, trad. it. a cura di Paolo Fabbri, Bruno Mondadori, Milano, 2007.
