Hjelmslev definisce ogni analisi come la descrizione di relazioni funzionali. A questo scopo introduce due nozioni fondamentali: costante e variabile. Si chiama costante «un funtivo la cui presenza è una condizione necessaria per la presenza del funtivo rispetto al quale esso ha funzione», mentre è detta variabile «un funtivo la cui presenza non è una condizione necessaria per la presenza del funtivo rispetto a cui esso ha funzione» (Prolegomena).
Da questa definizione derivano tre forme fondamentali di relazione:
- l’interdipendenza è una funzione fra due costanti;
- la determinazione è una funzione fra una costante e una variabile;
- la costellazione è una funzione fra due variabili.
Questa formalizzazione mostra che ogni dipendenza è, in ultima analisi, un rapporto logico e non una relazione empirica. La lingua e, più in generale, ogni sistema semiotico, sono strutture di funzioni, reti di condizionamenti tra termini che non possiedono senso al di fuori delle relazioni che li definiscono.
A tale principio di interdipendenza Hjelmslev affianca un secondo criterio metodologico: il principio di riduzione, secondo il quale ogni analisi deve condurre alla registrazione del numero più basso possibile di elementi. L’obiettivo è portare le varianti a convergere nelle rispettive invarianti, cioè ridurre la molteplicità degli esemplari concreti all’unità dell’entità astratta che li rappresenta.
Questo passaggio si realizza attraverso la prova di commutazione, un metodo che permette di distinguere ciò che è essenziale da ciò che è accidentale all’interno del sistema. La commutazione consiste nello scambio di un elemento con un altro su un piano (per esempio quello dell’espressione) per verificare se ciò provochi uno scambio corrispondente sull’altro piano (quello del contenuto).
Se lo scambio provoca un cambiamento di significato, si è di fronte a due invarianti diverse; se non provoca mutamento di senso, si tratta di due varianti dello stesso segno.
La commutazione opera dunque come una prova di correlazione tra piano dell’espressione e piano del contenuto: quando la correlazione tra le due variazioni si mantiene, emergono due segni distinti; quando manca, si riconosce la stabilità del medesimo segno.
A partire da questo criterio, Hjelmslev distingue diversi tipi di mutazione:
- la commutazione, scambio su un asse del sistema;
- la permutazione, scambio sull’asse del processo (come nello scambio il falegname pialla una porta / il falegname porta una pialla);
- la sostituzione, assenza di mutazione, come nel caso delle due realizzazioni della [r] italiana, apicale e uvulare, che non producono variazioni di significato.
In tal modo, il metodo hjelmsleviano unisce descrizione formale e verifica empirica: ridurre le varianti alle invarianti significa riconoscere la struttura logica che governa ogni fenomeno semiotico. L’analisi non mira a elencare le differenze, ma a scoprire i rapporti che rendono tali differenze funzionali al sistema.
Riferimento bibliografico: Stefano Traini, Le basi della semiotica, Strumenti Bompiani.
