Quando una teoria semiotica si misura con un oggetto, non lo fa mai in modo neutro. Ogni descrizione implica delle scelte, delle operazioni e un’organizzazione del lavoro analitico. Nelle pagine conclusive del suo saggio, Alessandro Zinna propone di superare la concezione del metalinguaggio come semplice insieme di termini e definizioni, e di riconoscerne invece la funzione interna a una metodologia operativa. Il vero cuore dell’applicazione semiotica non risiede solo nella costruzione di un lessico, ma nella capacità di dirigere e articolare concretamente il fare del ricercatore.
Zinna identifica quattro grandi procedure che compongono l’attività analitica della semiotica applicativa:
- Costituzione del corpus Nessuna descrizione è possibile senza prima definire e delimitare l’insieme dei dati da analizzare. La costituzione del corpus implica operazioni preliminari come la selezione, la raccolta e la tipizzazione degli esemplari, spesso accompagnata da glossari e definizioni operative.
- Descrizione È il momento in cui l’oggetto viene effettivamente segmentato, classificato e articolato secondo categorie. Qui si attivano le operazioni centrali della semiotica: segmentazione sintagmatica, attribuzione paradigmatica, assegnazione di funzioni. Il tempo operatorio della descrizione coincide con una trasformazione dell’oggetto nei suoi modi di esistenza: il testo diventa sistema e processo.
- Comparazione Confrontare elementi o fenomeni permette di far emergere regolarità, differenze, mutazioni. È anche attraverso la comparazione che si valutano le costanti di un genere o di una forma, o le variazioni tra stili, strategie e configurazioni semiotiche.
- Proiezione Alcune teorie permettono di formulare previsioni, di stimare lo sviluppo possibile di un sistema o di dedurne i limiti massimi (come il numero di membri di un paradigma). La proiezione è una fase avanzata che si nutre della solidità delle descrizioni precedenti.
Queste procedure, osserva Zinna, non sono semplicemente sequenze tecniche, ma categorie epistemologiche che fondano una possibile unità metodologica delle scienze del significato. In questa prospettiva, la semiotica applicativa non è una disciplina ausiliaria o subordinata, ma un modello operativo generale, capace di offrire strumenti condivisibili a molte altre scienze umane.
Un altro aspetto cruciale riguarda l’espansione terminologica. A differenza delle teorie riflessive — spesso più chiuse e dedite alla classificazione astratta — le teorie applicative producono nuovo lessico perché devono descrivere oggetti complessi e in trasformazione. La nascita di neologismi e jargons non è un eccesso teorico, ma il frutto della necessità di adeguare le categorie descrittive alle nuove configurazioni osservate.
Tuttavia, Zinna mette in guardia: l’ampliamento terminologico deve sempre misurarsi con la coerenza del sistema concettuale. La questione non è inventare termini, ma verificarne l’integrazione nel repertorio preesistente. Solo così il metalinguaggio resta aperto ma non arbitrario.
In conclusione, la semiotica applicativa si configura come una disciplina metodologica a tutti gli effetti, capace di articolare corpus, operazioni e modelli descrittivi. Non si tratta di limitarsi a “parlare del linguaggio”, ma di governare il fare del semiologo. Il progetto teorico auspicato da Saussure — ridare senso alla terminologia e assegnare a ogni operazione la sua categoria — trova qui una sintesi operativa e una prospettiva epistemologica compiuta.
Riferimento bibliografico: Alessandro Zinna, « L’épistémologie de Hjelmslev : Entre métalangage et opérations », Signata [En ligne], 4 | 2013, mis en ligne le 30 septembre 2016.
