Alessandro Zinna analizza l’evoluzione della semiotica dell’oggetto spostando l’attenzione dalla funzione simbolica alla configurazione narrativa e modale, fino alla pratica concreta dell’uso. Inizialmente l’analisi si concentrava sull’oggetto inteso come unità compatta, da interpretare secondo la sua funzione sociale o ideologica, senza considerare le articolazioni percettive o tattili della sua forma plastica.
Progressivamente si è compreso che la significazione dell’oggetto dipende dalla configurazione e integrazione di componenti che eccedono i limiti dell’oggetto-segno. Su questa base è stato possibile riconoscere una dimensione narrativa interna: l’oggetto comunica una sequenza di azioni da eseguire, delegandole all’utente, e conferisce coerenza globale ai suoi elementi morfologici. Deve quindi indicare la gerarchia dei gesti da compiere, collegandoli tra loro come azioni d’uso, ordinate secondo un programma unitario. Questo livello narrativo è visibile già in oggetti semplici come l’Opinel analizzato da Floch (si apre → si usa la lama → si taglia), ma si articola in modo ancora più evidente nelle macchine, dove l’utilizzo comporta l’esecuzione coordinata di più sotto-sequenze operative.
Per questo motivo, tali oggetti sono spesso accompagnati da manuali d’uso che, con l’ausilio del linguaggio naturale, illustrano i gesti da compiere per attivarne correttamente le funzioni. A questo impianto narrativo si affianca una componente modale. Zinna, rifacendosi a Bruno Latour, suggerisce che gli oggetti si comportano come veri e propri attanti, ai quali viene delegata una competenza tramite operazioni di dislocazione del sapere o del potere: gli oggetti ci consentono, ci obbligano o ci impediscono di agire.
L’analisi del dosso stradale, ad esempio, mostra come esso trasformi un divieto morale (non correre) in un’impossibilità pragmatica (non poter correre), attraverso una sanzione immediata che danneggia il veicolo o causa disagio fisico ai passeggeri. Si tratta, più che di una comunicazione, di una punizione: una forma di apprendimento negativo che converte l’etica della norma in controllo tecnico. È il caso, nota Zinna, dei dispositivi anti-piccione, ma anche di altri strumenti urbani di regolazione delle condotte.
Sul piano della pratica, la sequenza prevista dall’oggetto viene interpretata dal corpo attraverso movimenti effettivi, che adattano i gesti alle condizioni concrete dell’uso. Di fronte a un dosso, ad esempio, si dosa il freno in funzione della sua intensità, bilanciando l’azione degli ammortizzatori con la riduzione di velocità. A questo punto emerge uno scarto tra il livello virtuale, suggerito dalla progettazione dell’oggetto, e il livello pratico, dove il programma d’uso si realizza mediante variazioni sensibili del movimento.
Zinna sottolinea come ogni pratica sia più o meno regolata, dalle semplici modulazioni gestuali fino ai casi estremi del rituale, in cui l’uso degli oggetti è vincolato da prescrizioni severe. Gli oggetti di culto, in particolare, impongono una sequenza di gesti codificati: se non eseguita correttamente, si passa dall’errore rituale al sacrilegio.
L’oggetto si configura così come il punto d’intersezione tra programma, gesto e norma. La sua significazione non è solo cognitiva o percettiva, ma motoria, modale e culturale. L’analisi semiotica non può prescindere dalla concretezza della pratica, che rivela le strategie implicite incorporate nell’oggetto stesso.
Fonte: Alessandro Zinna, À quel point en sommes-nous avec la sémiotique de l’objet ?, in Objets & communication, MEI n°30-31, L’Harmattan.