Che cosa accade quando ci troviamo davanti a qualcosa che non riconosciamo? Quando l’oggetto percepito non corrisponde ad alcuno degli schemi concettuali che abbiamo a disposizione? Umberto Eco affronta questa domanda attraverso due aneddoti emblematici: Marco Polo che scambia un rinoceronte per un unicorno, e gli zoologi europei che, di fronte all’ornitorinco, sospettano un falso costruito assemblando pezzi di altri animali.
In entrambi i casi l’incontro con l’ignoto genera una risposta conoscitiva fondata non sulla certezza, ma su un’ipotesi. Per Eco, il riconoscimento non è mai un atto passivo, bensì un’operazione di abduzione. Seguiamo l’intuizione peirceana: “L’abduzione è quel tipo di inferenza mediante cui si formula la migliore ipotesi esplicativa per un fenomeno osservato”. Di fronte a un animale nuovo o a una figura inconsueta, il soggetto costruisce un modello esplicativo che gli consenta di attribuirvi senso.
Eco sottolinea che non si dà osservazione pura, neutra, “oggettiva”: ogni atto percettivo è già una forma di interpretazione. Quando l’oggetto non rientra in un concetto noto, siamo costretti a elaborare uno schema nuovo. Questa attività è insieme percettiva e semiotica, perché implica la costruzione di un significato a partire da dati sensoriali incerti.
Un esempio estremo è proprio quello dell’ornitorinco. Quando viene osservato per la prima volta, non corrisponde a nessuna classificazione disponibile: ha il becco d’anatra, il corpo di lontra, le zampe palmate, depone uova. La prima reazione degli zoologi occidentali è quella del rifiuto: lo considerano un falso, un mostro. Ma lentamente, attraverso l’osservazione, la comparazione e l’analisi, l’ornitorinco viene riconosciuto come un animale reale. Ciò che avviene è la costruzione di uno schema: una nuova categoria concettuale che consente di dire “è un ornitorinco”.
In questa costruzione entra in gioco un concetto centrale nella semiotica di Peirce: il Ground. Secondo Eco, il Ground è ciò che fonda la relazione segnica tra segno e oggetto. Si tratta di una qualità che rende possibile la somiglianza, l’analogia, l’interpretazione. È il punto di contatto tra la percezione sensibile e l’ipotesi cognitiva.
Peirce distingue tra tre operazioni fondamentali: attenzione, prescissione, astrazione. L’attenzione seleziona un tratto rilevante nell’esperienza; la prescissione isola quella proprietà da tutte le altre; l’astrazione la trasforma in concetto. Queste operazioni non sono meccanismi coscienti, ma movimenti dell’intelligenza, forme di selezione interpretativa.
Eco insiste sul fatto che il processo cognitivo non parte da una base pura e oggettiva, ma da un’interazione tra stimoli esterni e abiti interpretativi. L’ignoto non si dà mai come tale: diventa tale quando entra in tensione con ciò che si conosce. Di fronte all’anomalia, il soggetto è costretto a ristrutturare i propri schemi, a inventare nuove categorie, a rivedere il proprio lessico mentale.
Questa dinamica vale tanto per la percezione quanto per la scienza, per la comprensione quotidiana quanto per la storia della conoscenza. L’ornitorinco è solo un caso tra tanti: ogni nuova specie, ogni nuovo fenomeno, ogni oggetto inatteso rappresenta una sfida epistemica, un invito a reinterpretare il mondo.
Il riconoscimento non è allora il punto di partenza, ma il risultato di un processo. Prima di poter dire “questo è un ornitorinco”, bisogna elaborare uno schema che renda possibile quella identificazione. Lo schema non è né immagine né concetto: è una costruzione intermedia, un dispositivo operativo che consente di articolare i dati sensibili in una configurazione coerente.
In questo senso, Eco mostra come ogni conoscenza sia sempre interpretativa. Il dato, da solo, non basta. Serve un movimento della mente, un’ipotesi, un rischio. Solo così, conclude Eco, si può passare dal disorientamento iniziale alla stabilizzazione del significato.
“La conoscenza inizia quando qualcosa ci sorprende.”
Riferimento bibliografico: Umberto Eco, Kant e l’ornitorinco, Milano, Bompiani, 1997.