Gianfranco Marrone evidenzia come la nozione di testualità sia oggi fortemente in crisi negli studi semiotici. Secondo il semiologo, questa crisi nasce da un processo di allargamento del campo d’indagine della semiotica, che ha finito per configurarsi come un ritorno indietro, sia sul piano teorico sia sul piano epistemologico. A vacillare è proprio quella «semiotica del testo» che, negli studi semiotici avanzati, si era affermata come risposta alle difficoltà teoriche della semiologia strutturalista di matrice saussuriana. Marrone ricorda come questa semiotica del testo si fosse proposta di superare l’approccio ingenuo della semiologia strutturalista, la quale pensava la scienza delle significazioni come pura estensione dei modelli linguistici a oggetti sociali non linguistici: dalla moda alla pubblicità, dal cinema alla stampa.
Nella situazione attuale, osserva Marrone, la semiotica del testo appare a molti semiologi come «una cosa del passato», incapace di affrontare le nuove sfide della cultura mediatica contemporanea, dove il testo chiuso sembra non avere più corso, e le nuove esigenze epistemologiche della disciplina stessa, come la sociosemiotica, la semiotica tensiva e la semiotica della percezione e del corpo.
Marrone mette in evidenza l’imbarazzo teorico che deriva da questa crisi: «Occorre oltrepassare i limiti del testo? E se sì, per ritrovare che cosa? Che cosa c’è “al di fuori” del testo? I contesti? Le situazioni? Le forme di vita? L’esperienza?». E ancora: «E se no, in nome di quale idea di testo (di testualità) occorre restare all’interno di questi limiti? Quali sono le condizioni per continuare a conservare l’idea di un testo come modello formale per la spiegazione di tutti gli oggetti di studio della semiotica?».
Per affrontare questi interrogativi, Marrone richiama il celebre slogan di Greimas: «hors du texte pas de salut». Ricorda che Greimas stesso aveva ribadito la centralità del testo per la semiotica, precisando che «il testo è il punto di partenza e il punto di ancoraggio delle nostre vociferazioni» e che «non è un oggetto dato, ma va costruito progressivamente». Marrone sottolinea che questa costruzione è una strategia metodologica precisa, che permette di passare dalle molteplici percezioni dei singoli dati d’esperienza alla determinazione cognitiva di un tutto unico. Il testo, così inteso, diventa un oggetto paradossale: è al contempo il punto di partenza e il risultato dell’analisi, un oggetto che «sta alla fine» solo perché è stato «messo a fuoco» già dall’inizio attraverso le diverse pertinenze dell’analisi semiotica.
Marrone ricorda che per Greimas non c’è prima il contenuto e poi l’espressione, ma i due piani si costruiscono reciprocamente. È proprio l’espressione che diventa costante supporto per far emergere le articolazioni di un contenuto culturale che, per definizione, trascende le differenze fra sostanze espressive. E anche quando occorre studiare il contenuto come tale, è sempre sullo sfondo di un’espressione che lo supporta.
Marrone insiste quindi sulla funzione del testo come «salvezza al cubo» per la semiotica, perché rappresenta al contempo: (1) il modello formale esplicito e rigoroso; (2) l’empiria semiotica costruita attraverso la selezione e la negoziazione culturale; (3) la possibilità di rinnovare costantemente la realtà testuale, facendo emergere nuovi contenuti e nuovi universi di senso attraverso il processo interpretativo.
Riferimento bibliografico:
Gianfranco Marrone, L’invenzione del testo. Appunti per una ricerca, in Versus, 103-105, 2008.