Che cosa significa fare sociosemiotica? Quali sono gli oggetti legittimi di indagine? Maria Pia Pozzato apre il suo saggio con una domanda cruciale: “Che cosa si intende per ‘sociosemiotica’?”. La risposta, per l’autrice, si articola attorno all’idea che non si tratti tanto di una branca separata della semiotica, quanto piuttosto di una certa pratica della disciplina, secondo una prospettiva marcatamente costruttivista.
Seguendo Eric Landowski, la Pozzato ribadisce che la semiotica, con o senza il prefisso “socio”, implica «la più completa libertà di costruire e, indefinitamente, ricostruire il suo oggetto», oggetto che non è la “cultura” in senso ontologico, ma piuttosto il senso, «così come lo apprendiamo nella vita, ovvero nell’interazione sotto tutte le sue forme, con i testi certo, ma anche o inizialmente con l’altro, con il mondo, con noi stessi» (Landowski 2013).
Questa visione, che potrebbe sembrare idealista, trova invece appoggi autorevoli anche fuori dal campo strettamente semiotico. È il caso, per esempio, dell’antropologia interpretativa di Clifford Geertz, per il quale la cultura è composta da «ragnatele di significati che l’uomo ha tessuto» e l’analisi culturale non è una scienza sperimentale, ma una scienza interpretativa in cerca di significato.
Tuttavia, questa libertà costruttiva si accompagna a una serie di problemi metodologici delicati. Come si stabilisce la rilevanza di un caso, la sua “personalità semiotica”, per usare un’espressione di Lotman? In assenza di oggetti già dati, è necessario elaborare ipotesi interpretative anche provvisorie, per selezionare tra la pluralità dei dati e costruire un’analisi significativa.
Pozzato ricorda che lo stesso Greimas, in Semantica strutturale, non pretendeva di restituire il “senso complessivo” delle opere di Bernanos, ma si proponeva solo di indagare alcune linee significative, sulla base di specifici criteri di pertinenza. È solo con l’analisi di Maupassant che si tenterà una lettura “esaustiva”, ma quest’ambizione verrà poi relativizzata da Jacques Geninasca.
Per Geninasca, ogni testo letterario presenta una singolare unicità di senso (tout de signification), ma va comunque analizzato nella relazione fra i soggetti convocati nel, e dal, discorso letterario. In questo modo, anche nell’analisi dei testi estetici si conferma il principio landowskiano secondo cui il senso emerge dall’interazione tra soggetti, non da un significato intrinseco e oggettivo.
Alla luce di queste riflessioni, Pozzato mette in guardia sia dalla rigidità di protocolli prestabiliti, che rischiano di soffocare l’esplorazione, sia dall’opposto empirismo cieco, privo di ipotesi. «Se si fissano i criteri di pertinenza in anticipo e una volta per tutte», osserva, «significa che abbiamo già scoperto quello su cui stiamo indagando».
Il senso, dunque, non si trova, si costruisce nell’interazione e nell’interpretazione. E questo processo implica un equilibrio difficile tra apertura e metodo, tra teoria e contingenza. Una tensione che è il cuore stesso della pratica sociosemiotica.
Riferimento bibliografico:
Maria Pia Pozzato, Sociosemiotica. Scienza del generale o del particolare?, in Semiotica delle soggettività, Mimesis, 2013, pp. 145–153.