Luis Jorge Prieto, nel saggio Comunicazione e pertinenza, chiarisce come l’influenza che l’emittente di un atto semico esercita sul ricevente non sia un’influenza di tipo materiale. Egli afferma: «L’influenza che l’emittente di un atto semico cerca di esercitare sul ricevente non è quindi un’influenza del tipo che abbiamo chiamato “materiale”». Anche se questa influenza potrebbe, in via indiretta, avere delle ripercussioni materiali – ad esempio, «il ricevente buttato per terra» – essa «non mira mai direttamente alla produzione di un siffatto oggetto, bensì alla produzione d’un oggetto di pensiero e cioè di una conoscenza».
Secondo Prieto, l’obiettivo principale dell’emittente è quello di far sì che «una conoscenza determinata, che è in linea di massima una conoscenza dell’emittente» divenga anche «una conoscenza del ricevente». È per questa ragione che l’atto semico si configura come comunicazione o trasmissione: ciò che si trasmette è una conoscenza, un sapere che l’emittente possiede e che desidera rendere disponibile al ricevente.
Prieto puntualizza che l’influenza esercitata sul ricevente può variare da un atto semico a un altro solo in funzione della «conoscenza che l’emittente cerca in ogni caso di far diventare una conoscenza del ricevente». È dunque questa conoscenza, e non l’influenza di per sé, a costituire «ciò che costituisce il senso di un atto semico». Di conseguenza, «il senso di un atto semico sarebbe quindi da definire come una conoscenza dell’emittente che questi, servendosi del segnale, cerca di comunicare o di trasmettere al ricevente e cioè di far sì che essa divenga anche una conoscenza del ricevente».
Prieto riconosce che tale definizione chiarisce solo in apparenza cosa sia il senso di un atto semico, poiché la sua validità dipende dalla soluzione di almeno due problemi fondamentali, che egli si propone di discutere successivamente. Tuttavia, fin dalle prime battute, l’autore mette in evidenza l’importanza di considerare la comunicazione come un processo di trasmissione di conoscenza e, più specificamente, come un tentativo dell’emittente di far sì che «una conoscenza dell’emittente» divenga anche «una conoscenza del ricevente».
Riferimento bibliografico: L. Prieto, Saggi di semiotica, Pratiche, Parma 1991, pp. 87-91, 152-157.