Nella sua ricognizione sulle forme della soggettività in semiotica, Guido Ferraro individua come prima tappa un modello tradizionale e diffuso, che considera la soggettività come un dato eminentemente individuale, irregolare e imprevedibile. Si tratta, scrive, di una visione per cui la soggettività “sfugge per sua natura al dominio delle conoscenze positive”, assumendo il carattere di una sfera inclassificabile, “sottratta alla stessa possibilità di discorso”.
A questa concezione si contrappone quella che Ferraro chiama “la fuga dalla soggettività”, caratteristica della seconda ondata dello strutturalismo. Tale orientamento si manifesta in molte forme: dalla rimozione dei tratti biografici dell’autore alla ricerca delle strutture profonde dei testi, come se ogni soggettività fosse un ostacolo epistemologico. Una delle conseguenze più gravi, secondo Ferraro, è stata la riscrittura di concetti fondamentali della semiotica saussuriana. In particolare, critica la ridefinizione del significante, spostato da un livello psichico e condiviso, come lo intendeva Saussure, a uno materiale e oggettivo, in contrasto con l’impostazione originaria.
Ferraro rileva inoltre come ogni accenno alla soggettività venisse allora etichettato come segno di derive “post-strutturaliste e decostruzioniste”, giudicate per lo più infedeli alla visione semiotica. In questo contesto, la soggettività appariva come un rischio da evitare, e il lettore veniva temuto come agente capriccioso e incontrollabile. Emblematica è la posizione di Greimas, il quale — nel valutare una possibile lettura cristiana di un racconto di Maupassant — respinge l’idea che l’interpretazione possa dipendere dalla “competenza soggettiva del lettore”. Tale posizione, osserva Ferraro, rivela un timore verso l’infinità di letture possibili, intese come manifestazioni dell’“ispirazione e dell’umore del lettore”.
Ferraro mette in evidenza l’ambiguità di questo atteggiamento. Da un lato, si evita il rischio dell’arbitrarietà interpretativa; dall’altro, si lascia un “deserto perfetto quanto surreale” tra la soggettività individuale e l’oggettività del testo. Eppure, osserva, la lettura cristiana proposta da Greimas potrebbe essere interpretata non come espressione individuale, ma come manifestazione di una posizione culturale codificata e condivisa da milioni di persone.
Con il senno di poi, Ferraro ritiene che questa visione rigidamente oggettivista sia difficilmente sostenibile. L’idea che tre studiosi possano produrre tre analisi diverse dello stesso testo, pur utilizzando strumenti identici, è oggi del tutto plausibile. Tuttavia, egli riconosce anche i meriti storici di quella stagione: l’allontanamento dai fondamenti saussuriani permise di costruire una teoria preziosa, a patto di non restarvi intrappolati.
Contro l’identificazione della soggettività con l’arbitrarietà, Ferraro introduce un passaggio decisivo, citando Lawrence Kramer. Il musicologo americano, nel trattare il significato musicale, afferma che la soggettività non va temuta come principio di eccentricità, ma riconosciuta come prodotto “culturalmente e socialmente condizionato, sensibile al suo contesto, e frutto dell’educazione e del dialogo”. Anzi, secondo Kramer, la soggettività è regolata dalla gamma di posizioni disponibili in una data comunità: non si tratta quindi di capriccio individuale, ma di collocazione in una rete condivisa di pratiche e rappresentazioni.
“La soggettività non è […] legata a un’esistenza privata e chiusa in se stessa, bensì […] dipendente da connessioni pubbliche: si tratta di una posizione – o di una serie di posizioni – in una rete definita di pratiche e rappresentazioni”.
Riferimento bibliografico: Cinque tipi di soggettività in semiotica, Guido Ferraro