La trasformazione dell’ideologia in senso parziale e frammentario ha trovato negli ultimi anni espressione in forme nuove, fortemente caratterizzate dal riferimento all’identità. Ugo Volli individua in questi fenomeni le “nuove ideologie”, nate dalla disgregazione delle grandi narrazioni politiche e caratterizzate da un orientamento tematico, spesso mobilitante, ma raramente strutturale o sistematico.
Queste ideologie non si presentano come progetti complessivi di organizzazione della società, né si propongono come programmi di partito. Piuttosto, si costruiscono attorno a temi singoli, che assumono un valore assoluto e performativo: chi li adotta si posiziona come “progressista”, mentre chi non vi aderisce è ritenuto “reazionario” o complice di oppressioni sistemiche.
Termini come intersezionalità, woke o cancel culture rappresentano, secondo Volli, esempi emblematici di questo nuovo lessico ideologico. L’intersezionalità — teorizzata da Kimberlé Crenshaw nel 1989 — descrive l’interazione simultanea e sovrapposta di diverse forme di discriminazione (sesso, razza, classe, orientamento sessuale, disabilità, ecc.), proponendo una lettura unitaria dei meccanismi di esclusione.
Il termine woke, inizialmente usato negli Stati Uniti nell’ambito del movimento Black Lives Matter, designava una particolare consapevolezza politica rispetto all’ingiustizia razziale e sociale. Ma, sottolinea Volli, è divenuto anche sinonimo di atteggiamento rigido o moralistico, caratterizzato da intolleranza verso chi dissente, fino all’estromissione pubblica — la cosiddetta cancel culture.
«Questi atteggiamenti poi sfociano in quella forma moderna di ostracismo nella quale qualcuno diviene oggetto di indignate proteste e di boicottaggio, estromesso da cerchie sociali o professionali […] definita dai suoi critici “cancel culture”».
Le nuove ideologie identitarie, osserva Volli, operano attraverso un meccanismo retorico e mitico. Parlano in nome delle caratteristiche ideologicamente rilevanti del locutore (“parlo come donna, come nero, come LGBT…”), ma pretendono valore universale, chiedendo che tutti — anche chi non appartiene ai gruppi coinvolti — ne riconoscano la legittimità e vi aderiscano. Si tratta, secondo Volli, di una vera e propria “pretesa egemonica”, analoga a quella che in passato caratterizzava l’ideologia rivoluzionaria marxista.
Tuttavia, vi è una differenza cruciale: le nuove ideologie non si fondano su un’analisi strutturale del sociale, ma sull’espressione vissuta e rivendicativa dell’identità. Volli propone l’esempio di Black Lives Matter, che, pur definendosi “antirazzista”, afferma che race matters e che condizione dell’antirazzismo sarebbe proprio il riconoscimento della centralità della razza. Il paradosso, scrive Volli, è evidente.
Questo tipo di ideologia, conclude Volli, si distingue per il suo funzionamento mitico:
«Nel discorso di queste nuove ideologie è essenziale il carattere mitico, con l’intervento potente di una mitologizzazione dei valori dei singoli problemi».
Scompare la volontà esplicita di costruire un sistema coerente, ma resta una fortissima valenza normativa, una pressione collettiva alla conformità, un’intenzione di distinzione e giudizio. E in questo senso, la semiotica — come nei progetti critici degli anni Sessanta — può ancora avere una presa analitica, anche se non più nella forma della “smobilitazione” dell’ideologia, bensì come lettura delle sue forme nuove, culturalmente potenti e retoricamente attive.
Riferimento bibliografico:
Ugo Volli, Avventure semantiche dell’ideologia: dalla teoria delle idee ai movimenti identitari, in Interrogare il senso. Verso una semiotica critica, Nomos Edizioni, 2024.