Alla domanda sul ruolo della semiotica nel panorama contemporaneo, Umberto Eco distingue due direzioni fondamentali: da un lato, la critica dell’ideologia; dall’altro, l’organizzazione della conoscenza. La prima, ricorda Eco, era particolarmente sentita negli anni Sessanta, nel clima culturale che precedette il Sessantotto. In quel contesto, «il problema dell’ideologia era fondamentale», spesso affrontato attraverso una lettura paramarxista della storia.
Eco mette in guardia, però, dal confondere ogni critica dell’ideologia con la semiotica. «La critica dell’ideologia non è necessariamente una semiotica», precisa, e cita come esempio la Sacra Famiglia di Marx ed Engels: un capolavoro critico che è anche una lettura testuale, ma non ancora un’analisi semiotica in senso tecnico. E tuttavia, secondo Eco, accade oggi un fatto curioso: sebbene nessuno usi più diffusamente il termine “ideologia”, la critica dell’ideologia continua a operare all’interno della semiotica. Per esempio, «se si analizza una trasmissione televisiva, un romanzo di consumo vedendo come la sua struttura narrativa cieli una metafisica assoggiacente, si fa critica dell’ideologia».
Questo lavoro si compie anche senza nominarla, ma la sua funzione è ancora attiva. Eco rivendica come una delle parti più riuscite, anche se ormai dimenticate, del Trattato di semiotica generale proprio la definizione semiotica dell’ideologia.
L’altra grande funzione della semiotica — prosegue Eco — è l’organizzazione della conoscenza. Oggi più che mai, afferma, la disciplina deve rispondere alla domanda: come conosce l’essere umano? E la risposta è netta: l’uomo conosce solo attraverso segni. In questo senso, la semiotica e la teoria della conoscenza tendono a coincidere.
Questa tesi si rafforza in un momento storico in cui la semiotica dialoga sempre più apertamente con le scienze cognitive. Non tutti i semiologi sono d’accordo su questa direzione: alcuni preferiscono orientarsi verso una forma di socio-semiotica. Ma Eco non ha dubbi: per lui, i nuovi alleati della semiotica sono le scienze cognitive, con cui si può tentare una nuova definizione dello statuto del sapere.
La riflessione finale riguarda la storia, tema che Eco affronta con una certa distanza ironica, richiamando il suo Apocalittici e integrati e altri scritti più politici. In riferimento a A passo di gambero, riconosce di aver voluto mostrare alcune tendenze regressive del presente, ma precisa che non si può pensare alla storia come a una traiettoria lineare e progressiva. Per immaginare una direzione della storia, sostiene Eco, «bisogna assolutamente credere in Dio e in Gesù Cristo», secondo la scansione teologica: creazione, caduta, redenzione, giudizio finale.
Senza questa cornice escatologica, la visione hegeliana della storia come sviluppo razionale appare altrettanto insostenibile. L’idea che ogni filosofo successivo abbia ragione rispetto al precedente, osserva Eco con ironia, è ciò che ha reso indigesto lo studio della filosofia a generazioni di studenti italiani, educati con i manuali idealisti come quelli di Lamanna. Ma questa illusione era già stata smascherata da Leopardi, «ironizzando sulle magnifiche sorti e progressive».
La storia, conclude Eco, ha sì un movimento, ma non necessariamente una direzione unilineare. Può essere a spirale, può tornare su se stessa. E proprio per questo «la storia è maestra di vita»: perché mostra che ciò che è accaduto può tornare, magari in forma diversa. Perciò bisogna conservare il diritto di criticare il nuovo, e di dire — senza timore — che a volte «quello che fa il nuovo artista è una ciofeca».
Fonte: Semiotica: origini, definizione, sguardo sul presente, Intervista a Umberto Eco, Andrea Cirla, 2006