Secondo Umberto Eco, la svolta che ha portato la semiotica a diventare una disciplina riconosciuta non può essere spiegata solo in termini storici o antropologici. È vero che la pressione esercitata dai mass media ha trasformato la comunicazione in un problema centrale per la nostra civiltà, suscitando l’interesse di molte discipline per le leggi generali della significazione. Tuttavia, osserva Eco, questo non basta a spiegare l’emergere della semiotica come scienza. Per anni, infatti, la centralità dei mass media ha prodotto soprattutto una proliferazione di teorie sociologiche e di ricerche empiriche di scarsa qualità, accompagnate da un immaginario metafisico come quello della “Galassia della comunicazione”.
La semiotica ha compiuto un passo ulteriore: pur occupandosi anche dei mass media, ha cercato di individuare i meccanismi profondi della significazione, non solo nei sistemi di comunicazione umani, ma anche nei processi animali, naturali e cibernetici. La vera svolta, sottolinea Eco, è dovuta a un “influsso catalizzatore” esercitato da scuole e da opere individuali. In questo contesto, Roman Jakobson è identificato come la figura decisiva: “il maggior catalizzatore della contemporanea reazione semiotica”, una reazione intesa in senso nucleare più che politico.
Per comprendere il ruolo di Jakobson, Eco invita a esaminare la sua opera complessiva. Anche se il termine “semiotica” compare raramente nei titoli e nei testi, molte delle pagine che più hanno influenzato lo sviluppo della disciplina sono, di fatto, fondative della semiotica contemporanea. Jakobson non ha mai scritto un libro di semiotica, proprio perché tutta la sua attività scientifica è stata, in sé, una continua ricerca della semiotica.
Il celebre motto di Jakobson (“linguista sum: linguistici nihil a me alienum puto”) andrebbe modificato, secondo Eco, in una formula più radicale: “linguista sum: nihil a me alienum puto”. Infatti, se l’obiettivo era comprendere il fenomeno linguistico nella sua totalità, allora il linguaggio non può mai essere isolato dal resto del comportamento umano, che è sempre un comportamento significante.
Jakobson incontra Petr Bogatyrev già nel 1915, e insieme elaborano una visione comune: penetrare le pieghe più profonde del linguaggio e della poesia, orale e scritta. Da questa collaborazione nasce nel 1929 il saggio Die Folklore als eine besondere Form des Schaffens, in cui si affermano con chiarezza tre principi fondamentali:
– ogni innovazione in un sistema semiotico ha bisogno di un consenso sociale che la integri;
– ogni sistema comunicativo è regolato da leggi semiotiche generali ed è definito da un codice;
– lo studio di un codice comporta sia un’analisi sincronica che un’analisi delle sue trasformazioni diacroniche.
Il folklore, affermano Jakobson e Bogatyrev, è un sistema indipendente che funziona con le stesse leggi del linguaggio, pur usando in parte i medesimi materiali (le parole). L’uso della lingua verbale è finalizzato a realizzare un’altra competenza: quella del codice folklorico.
Questo principio è ribadito da Jakobson anche nel celebre saggio scritto con Tynianov nel 1928: ogni forma di espressività culturale, come la letteratura, può essere definita solo in rapporto alle leggi degli altri sistemi semiotici.
Jakobson, sostiene Eco, non si è avvicinato alla linguistica dopo aver studiato la poesia o la pittura. Al contrario, già quando analizzava l’arte d’avanguardia o la versificazione, stava facendo semiotica. La sua prospettiva era sin dall’inizio totalizzante: per comprendere il linguaggio doveva studiarne l’interazione con tutte le forme culturali.
Da qui deriva il principio secondo cui linguaggio e cultura sono mutuamente implicati. Ecco perché, aggiunge Eco, la linguistica non può essere separata dall’antropologia culturale. È proprio nella congiunzione fra questi ambiti che si compie il passo decisivo verso la semiotica come scienza generale.
Jakobson diventa pienamente consapevole della portata teorica di questo progetto quando i suoi studi sulla fonologia lo conducono all’incontro con la teoria dell’informazione. A partire da quel momento, la sua attenzione si estende progressivamente a tutto l’ambito semiotico, influenzando profondamente figure come Lévi-Strauss e Lacan. Le sue osservazioni conclusive al convegno di Bloomington (1952), i Fundamentals of Language del 1956, e il saggio Linguistics and Communication Theory del 1961 costituiscono, secondo Eco, i pilastri di una teoria semiotica ormai compiuta.
Nel 1964, con la prima bozza di Elementi di semiologia di Barthes e la pubblicazione della rivista Communications 4, la semiotica entra nel dibattito pubblico. Ma questa apparizione improvvisa non è un fatto di moda, né un fenomeno sociologico: è il risultato di una lunga e coerente traiettoria di ricerca, catalizzata in modo decisivo dal lavoro di Roman Jakobson.
Umberto Eco, Il pensiero semiotico di Jakobson, 1976