Paolo Fabbri propone una distinzione cruciale: quella tra oggetto e cosa. L’oggetto non è un dato grezzo dell’esperienza, né una realtà che precede la parola; al contrario, è il prodotto di un incontro tra una forma del contenuto e una forma dell’espressione. In questa prospettiva, non vi è oggetto senza semiotizzazione.
Fabbri afferma con decisione: “Non esistono cose nel senso ingenuo del termine. Esistono oggetti semiotici”. Ciò significa che l’oggetto non è ciò che sta nel mondo indipendentemente dal linguaggio, ma ciò che prende forma attraverso una determinata articolazione significante. Non si tratta solo di un principio epistemologico, ma di un dato operativo: l’analisi semiotica lavora su oggetti costituiti nella e dalla significazione.
A sostegno di questa impostazione, Fabbri richiama il pensiero di Michel Foucault, che nella Le parole e le cose mostra come ogni episteme storica produca una specifica modalità di oggettivazione. I saperi, infatti, non si limitano a descrivere le cose: le producono come oggetti di conoscenza, attraverso dispositivi discorsivi, istituzionali, percettivi.
Analogamente, Gilles Deleuze, nella Logica del senso, distingue tra oggetti e cose. L’oggetto è un’esigenza teorica, mentre la cosa è un’irriducibilità ontologica. Ma è l’oggetto — non la cosa — ad essere manipolabile, descrivibile, analizzabile. L’oggetto è ciò che emerge quando una forma del contenuto incontra una forma dell’espressione. Questo incontro produce effetti di senso, e solo in questo senso possiamo dire che gli oggetti “esistono”.
Fabbri riprende anche la riflessione di Roman Jakobson sulla funzione referenziale. Il riferimento — afferma — è uno degli effetti dell’articolazione semantica, non il suo fondamento. Il riferimento non è “ciò di cui si parla”, ma ciò che si produce parlando. Così, il cosiddetto referente è un oggetto del discorso, non una realtà esterna e autonoma.
Questa visione semiotica implica un cambio radicale di paradigma rispetto alle filosofie della rappresentazione. Non esiste un mondo dato che il linguaggio si limita a riflettere; esiste piuttosto una formazione del mondo attraverso il linguaggio. Gli oggetti non sono preesistenti alla significazione, ma sono formati e trasformati dai regimi semiotici che li articolano.
Fabbri insiste: non si tratta di negare la realtà, ma di riconoscere che ogni accesso alla realtà è mediato da forme di espressione. Anche l’oggetto scientifico più rigoroso — un elettrone, un gene, un quark — è il risultato di pratiche enunciative, apparati di misura, convenzioni simboliche. L’oggetto, dunque, è sempre un oggetto enunciato, mai una pura “cosa”.
Questa prospettiva ha conseguenze anche per l’analisi dei testi. In una poesia, in una pittura, in una coreografia, gli oggetti che compaiono non sono semplicemente rappresentazioni del mondo, ma configurazioni di senso prodotte dall’incontro tra materiali espressivi e strategie di contenuto. L’oggetto diventa così il luogo della forma, e la semiotica si conferma come scienza della formazione degli oggetti nella significazione.
Riferimento bibliografico: Fabbri, P. (1998). La svolta semiotica. Italia: Laterza.