Liqian Zhou descrive il paradigma dominante delle scienze della vita come un sistema di conoscenza che analizza il vivente privandolo della vita. L’approccio neo-darwiniano, secondo questa ricostruzione, considera i processi biologici come eventi meccanici, continui con i fenomeni fisici dell’universo e privi di qualsiasi specificità semantica. In tale prospettiva, l’organismo diventa una macchina complessa, e la vita appare come il risultato di processi chimici automatici.
Il dogma centrale della biologia molecolare, formulato da Francis Crick, rappresenta il punto più alto di questa impostazione. Il flusso dell’informazione genetica, dal DNA alla proteina, viene interpretato come una sequenza unidirezionale e deterministica di trasmissioni, dove la nozione stessa di “informazione” è impiegata in senso tecnico ma con implicazioni teleologiche che la biologia meccanicista tende a ignorare. Zhou osserva che concetti come codice, informazione, trascrizione o correttezza rimandano inevitabilmente a un orizzonte di senso e di finalità, difficilmente riconducibile a una descrizione puramente fisica.
La biologia moderna tenta di risolvere questa contraddizione sostenendo che tali termini siano soltanto metafore operative, riducibili in linea di principio al linguaggio della fisica. Tuttavia, questa riduzione, nota Zhou, non è mai stata pienamente realizzata. Quando si parla del codice genetico come di un sistema in grado di determinare sequenze e funzioni, si presuppone implicitamente una relazione normativa, ossia la possibilità di distinguere ciò che funziona da ciò che è errato.
È proprio la questione della normatività biologica a mettere in crisi il paradigma meccanicista. Le operazioni di trascrizione e traduzione vengono giudicate corrette o scorrette, ma la nozione di correttezza non trova posto in una teoria che riconosce solo cause efficienti. Per superare questa difficoltà, la filosofia della biologia ha fatto ricorso all’idea di selezione naturale, interpretata come principio in grado di spiegare la funzione degli organismi senza introdurre finalità. In questa visione, la funzione di una struttura biologica deriva dai vantaggi selettivi che essa ha prodotto nel corso dell’evoluzione.
Zhou evidenzia tuttavia il limite di tale impostazione: la selezione naturale opera come teoria statistica a livello di popolazione e non come principio causale a livello dei singoli organismi. Non produce il lavoro fisico che permette la sopravvivenza e la riproduzione del vivente, ma si limita a descrivere la distribuzione degli esiti adattativi. In questo senso, anche la spiegazione evoluzionistica finisce per presupporre l’esistenza di sistemi già capaci di orientare la propria attività in modo finalizzato, senza realmente spiegare come tale orientamento emerga.
Il risultato, osserva Zhou, è che la biologia meccanicista continua a dipendere da concetti implicanti intenzionalità, come funzione, segnale o adattamento, pur dichiarandosi estranea a qualsiasi finalismo. Il linguaggio biologico conserva così un residuo teleologico che la riduzione fisicalista non riesce a eliminare. È proprio da questa insufficienza che nasce la prospettiva biosemiotica, la quale restituisce alla vita la sua dimensione di senso, di valore e di interpretazione. Solo una scienza capace di integrare il funzionamento materiale con la produzione di significati può, per Zhou, rendere conto pienamente di ciò che distingue il vivente dal mero meccanismo.
Riferimento bibliografico: Liqian Zhou, Biosemiotics, code biology, and operational interpretation, Chinese Semiotic Studies, 21(1), 2025.
