Claudio Paolucci evidenzia come Umberto Eco concepisse l’intellettuale come un mediatore critico che si muove all’interno dell’Enciclopedia. Eco afferma che «noi diamo senso alle cose sulla base dell’Enciclopedia che ritagliamo per quella situazione e che rappresenta lo sfondo della nostra percezione del mondo». Questo significa che le nostre interpretazioni non sono mai immediate, ma sono sempre il risultato di un filtro interpretativo.
Paolucci insiste sul ruolo dell’intellettuale come educatore semiotico. Eco rivendicava la funzione di «fare perizia» sulle rappresentazioni che circolano nella comunità, per aiutare le masse a difendersi dalle manipolazioni mediatiche. Questo compito richiede, secondo Eco, di insegnare a «leggere dietro, attraverso, di fianco», in modo che «le masse non soccombano al potere della manipolazione dell’informazione e della costruzione del consenso».
Paolucci ricorda un episodio emblematico: «essere colti non vuol dire sapere quando è nato Napoleone, ma sapere in trenta secondi dove andarselo a cercare». Per Eco, infatti, l’intellettuale non è un semplice erudito, ma è colui che sa orientarsi all’interno dell’Enciclopedia. Non è un «esperto» che possiede tutto il sapere, ma «un professionista della conoscenza» che «sa muoversi» tra le conoscenze precedenti per produrre nuove interpretazioni.
Paolucci sottolinea che questa funzione emancipativa dell’intellettuale era per Eco una vera e propria missione. Non a caso Eco scriveva che «la cultura non è mai neutra» e che «la semiotica è la scienza di tutto ciò che può essere usato per mentire». Paolucci conclude che l’intellettuale semiologo ha la responsabilità di smascherare le ideologie e di insegnare alle masse a non credere ciecamente alle verità già confezionate.
Riferimento bibliografico: Claudio Paolucci, Umberto Eco. Tra Ordine e Avventura, Feltrinelli, Milano 2017