Nel quadro tracciato da Paolucci, Opera aperta di Umberto Eco mostra come l’arte contemporanea reagisca a una serie di sollecitazioni provenienti da domini che, secondo la cultura dell’epoca, avrebbero dovuto restarle estranei: matematica, biologia, fisica, psicologia, logica. Nell’introduzione alla prima edizione, Eco identifica chiaramente questa costellazione di influenze. L’arte e gli artisti rispondono alla provocazione del “Caso, dell’Indeterminato, del Probabile, dell’Ambiguo, del Plurivalente”; è la sensibilità contemporanea che si confronta con “le suggestioni della matematica, della biologia, della fisica, della psicologia, della logica e del nuovo orizzonte epistemologico che queste scienze hanno aperto”.
Per comprendere tali poetiche – da Dubuffet ai Novissimi – Eco ritiene necessario uscire dal dominio dell’arte. Paolucci ricostruisce questo gesto come un movimento che attraversa le frontiere disciplinari: l’arte è spiegabile solo se posta in relazione con concetti che provengono da territori “molto distanti”, come il disordine, l’entropia o il codice della teoria dell’informazione. Questi concetti non vengono impiegati come metafore decorative, ma perché sono portatori di strutture che risuonano con i processi di produzione e fruizione dell’opera contemporanea.
La novità consiste nel riconoscere che i fenomeni estetici e quelli scientifici possono condividere un medesimo tipo di relazione. Eco individua nell’indeterminazione, nella complementarietà e nella non-causalità tre modalità operative che caratterizzano tanto la fisica contemporanea quanto la forma dell’opera aperta. Paolucci cita il passo in cui Eco afferma che “il modo di spiegare operativamente i processi fisici” è identico al “modo di spiegare operativamente i processi di produzione e fruizione artistica”. Tale parallelismo non definisce un’analogia superficiale: segnala invece quella che Eco chiama un’“omologia di struttura”.
A partire da questa prospettiva, l’arte non rimanda più alle profondità dello Spirito né all’esteriorità del mondo. Paolucci mostra come Opera aperta rompa entrambe le tradizioni dominanti nella cultura italiana: l’idealismo crociano, che concepiva l’arte come espressione dell’interiorità intuitiva del sentimento, e il marxismo neorealista, che la interpretava come rappresentazione della realtà e dei rapporti sociali. La teoria di Eco elimina sia la dipendenza dal soggetto sia quella dall’oggetto. L’arte non cerca più un fondamento né nell’“io” né nel “mondo”, ma stabilisce relazioni con domini che le sono vicini per via laterale. Paolucci sintetizza questo scarto con una formula evocativa riportata nel testo: non più una comunicazione verticale o radiale, ma un movimento “in orizzontale”, “né interno né esterno, ma accanto”.
Questa riorganizzazione delle relazioni tra l’arte e il sapere non fu accolta senza resistenze. Le prime reazioni critiche accusarono Eco di essersi abbandonato a un tecnicismo privo di pertinenza estetica, di aver trascurato il sentimento o la rappresentazione per cedere alle “suggestioni della scienza moderna”. Una recensione dell’epoca parlava di scrittori “votati ad assurdi dilemmi e a compiti extra-estetici”, perché disertavano il loro rapporto con la realtà per rifugiarsi nei “sottoboschi della cultura scientifica e filosofica” . Eco replicava osservando che non si trattava affatto di compiti estranei all’estetica, e nemmeno di metafore: erano le stesse opere d’arte a costituire, come viene ricordato, “metafore epistemologiche”. Le poetiche dell’opera aperta, scrive Eco, “presentano caratteri strutturali simili ad altre operazioni culturali tese a definire fenomeni naturali o processi logici” e tali similarità possono essere riconosciute solo riducendo l’operazione artistica a un modello, allo scopo di metterla in relazione con altri modelli di ricerca.
A emergere da questa analisi è un’immagine dell’arte priva di fondamenti trascendenti o naturalistici. L’arte non si legittima attraverso la profondità dell’io o attraverso la rappresentazione del mondo: trova la propria posizione all’interno di una rete di domini che si intersecano e si illuminano reciprocamente. È questo spostamento che Paolucci riconosce come decisivo: Opera aperta mostra che ciò che conta non è la sostanza della disciplina, ma la forma delle relazioni che essa intrattiene con i saperi vicini. L’indeterminazione della fisica, l’ambiguità della teoria dell’informazione e la pluralità delle poetiche contemporanee appartengono allo stesso spazio culturale in cui l’arte si muove “accanto” ai suoi domini limitrofi.
Riferimento bibliografico: Claudio Paolucci, Umberto Eco. Tra Ordine e Avventura, Feltrinelli.
