Massimo Leone propone una riflessione originale sulla relazione tra volto e cibo, fondandola su un assunto teorico: il volto è, in sé, un’affordance. In quanto tale, è una configurazione percepita come significativa, che emerge nel contesto dell’ambiente e viene immediatamente riconosciuta come dotata di senso. In questa prospettiva, anche il cibo può assumere un volto, o più precisamente essere oggetto di “facialization”, un processo che lo investe simbolicamente, visivamente e assiologicamente della forma e della funzione di un volto.
Non si tratta soltanto di una decorazione ludica, come nei biscotti con occhi e bocca disegnati, o di fenomeni di pareidolia, come quando si intravede il volto di Gesù in una fetta di pane bruciato. In entrambi i casi, sottolinea Leone, la configurazione plastica del volto emerge nella materia del cibo, trasformandolo in un oggetto figurativo dotato di identità e dignità. “Avere visto un volto nel cibo non consente più di dimenticarlo”: da quel momento, si è obbligati a trattarlo come un volto — a “facializzarlo” — attribuendogli una presenza corporea, con testa e faccia.
Questa operazione semiotica non è semplicemente un atto di antropomorfizzazione né una strategia per rendere il cibo più “carino”. Al contrario, Leone mostra come la “facialization” del cibo funzioni come un dispositivo retorico e culturale, capace di ritualizzare il paradosso che si instaura tra la necessità di uccidere per nutrirsi e il riconoscimento di una soggettività in ciò che viene ucciso. In questo senso, il cibo con un volto rappresenta un simulacro dell’umano, un ponte simbolico tra vita e morte, tra chi si nutre e ciò di cui si nutre.
La riflessione si approfondisce quando il volto non è solo conferito al cibo, ma appartiene già all’essere da cui esso deriva. Nell’ambiente naturale, spiega Leone, la dialettica tra predatori e prede è anche una dialettica tra volti e cibo: ogni essere vivente è o un volto che cerca cibo, o cibo per altri volti. Nei contesti evolutivi e culturali, l’alimentazione implica dunque una continua tensione tra riconoscimento e soppressione.
Per questo, osserva l’autore, le culture alimentari tendono a rimuovere il volto dagli alimenti: “si mangiano teste, non facce”, e le stesse teste sono progressivamente escluse dalla tavola, soprattutto nelle società complesse e industrializzate. Questa esclusione risponde al bisogno di occultare la relazione violenta tra soggetto e oggetto, tra chi mangia e chi viene mangiato. Nasce così una sorta di censura figurativa, che allontana la “faccia” del cibo per rendere accettabile il suo consumo.
La distinzione tra volto e muso si rivela allora centrale. Leone mostra come questa opposizione sia fondata su una vera e propria ideologia semiotica: il muso è un volto “sacrificabile”, un’entità spogliata della propria soggettività. “Muzzling” — imbrigliare un volto — significa trasformare un soggetto in oggetto, sottomettere un essere vivente a una relazione asimmetrica di potere. È per questo che animali singolarizzati — come gli animali domestici — smettono di essere percepiti come semplici corpi e iniziano ad avere un volto, rendendo il loro consumo problematico dal punto di vista etico.
La “facialization” del cibo, dunque, è anche un sintomo di crisi: essa svela l’ambivalenza di un rapporto che, da una parte, mira a umanizzare l’alimento, e dall’altra a neutralizzarne la vitalità. In alcuni casi, come ricorda Leone, tale consapevolezza si radicalizza, fino a generare pratiche ascetiche estreme: nel Giainismo, ad esempio, il digiuno rituale rappresenta la forma più pura di fine della vita, proprio per evitare di nuocere ad altri esseri viventi.
In conclusione, la semiosi del volto nel cibo mette in luce una tensione profonda tra etica, cultura e biologia. Ogni volta che attribuiamo un volto a ciò che mangiamo — anche solo simbolicamente — riattiviamo un’antica contraddizione: quella tra il bisogno di sopravvivenza e la percezione dell’altro come soggetto. In questo senso, la “facialization” del cibo non è solo un fatto estetico o rituale, ma un nodo semiotico che attraversa l’intera storia evolutiva e culturale della specie umana.
Riferimento bibliografico: Massimo Leone, The Right Face of Food, in «Signata», 15 | 2024.