Valentina Pisanty propone un’interpretazione originale del Trattato di semiotica generale, leggendo la sua architettura teorica non come un semplice innesto, bensì come un caso esemplare di “dissociazione creativa”. Il riferimento esplicito è ad Arthur Koestler, che nel saggio The Act of Creation descrive il meccanismo cognitivo alla base dei processi creativi — dall’umorismo alla scienza — come un “urto tra matrici logiche incompatibili”.
Pisanty osserva che la celebre operazione di Eco — l’innesto della teoria degli interpretanti di Peirce sullo strutturalismo di Hjelmslev — potrebbe essere intesa proprio secondo questo modello bisociativo. A sostegno di questa ipotesi, rievoca il celebre esempio di Koestler: lo scimpanzé Sultan, che riesce ad afferrare una banana collocata fuori dalla gabbia solo dopo aver strappato un ramo dall’albero interno, trasformandolo in uno strumento. Sultan coglie il ramo come elemento appartenente simultaneamente a due matrici incompatibili — natura vegetale e strumento artificiale — operando così un atto creativo.
Allo stesso modo, afferma Pisanty, Eco strappa la nozione di “interpretante” dal contesto teorico peirciano — anche su indicazione di Jakobson, che lo definiva un “precursore dello strutturalismo” — e la trapianta nel dispositivo strutturalista, in sostituzione della “marca semantica”. Questo gesto teorico, lungi dall’essere un semplice innesto, dà luogo a una nuova figura concettuale: l’enciclopedia.
Le conseguenze di questa operazione sono profonde. Il ramo concettuale di Peirce, una volta inserito nella gabbia teorica dello strutturalismo, comincia ad “allungare le sue propaggini”, generando sviluppi imprevedibili: una nuova concezione del segno, fondata sull’inferenza e sull’interpretazione, e una ridefinizione del rapporto tra conoscenza, codici e mondo.
Secondo Pisanty, questa bisociazione tra interpretanza e immanenza genera una tensione strutturale che attraversa l’intero Trattato. Ma cosa accade per chi legge oggi il testo? Una volta interiorizzata l’operazione teorica, la sua natura creativa diventa invisibile, come se fosse sempre stata ovvia. Eppure, osserva, questa coesistenza di matrici resta problematica.
La metafora finale proposta da Pisanty è quella della figura ambigua: il vaso e i due profili. Chi legge il Trattato finisce per scegliere uno sfondo e una figura. «Si decide di vedere Hjelmslev sullo sfondo di Peirce, o Peirce sullo sfondo di Hjelmslev», in base alla propria disposizione interpretativa. Ma l’alternanza resta, e con essa la sfida: la semiotica di Eco è ancora oggi abitata da una tensione dissociativa che ne costituisce la vitalità teorica.
Fonte: Valentina Pisanty, Tavola rotonda sull’eredità del “Trattato di semiotica generale” di Umberto Eco, organizzata in occasione del XXXIV congresso dell’Associazione Italiana di Studi Semiotici (AISS) nel 2006.