Dalla teoria gerarchica del testo elaborata da Jurij M. Lotman deriva una conseguenza essenziale: il testo di livello superiore, contenendo solo rapporti sistematici, funge da lingua di descrizione per altri testi, ma esso stesso non è un testo. Questo perché il testo, in quanto sistema materializzato, contiene elementi extratestuali.
In base a tale principio, Lotman formula una regola metodologica chiara:
- La lingua della descrizione di un testo si presenta come gerarchia. La confusione delle descrizioni di diversi livelli non è ammissibile: bisogna definire a quale livello (o a quali) si colloca la descrizione.
- All’interno del livello dato, la descrizione deve essere strutturale e completa.
- Le metalingue dei diversi livelli possono essere differenti.
Tuttavia, Lotman sottolinea un punto decisivo: la realtà della ricerca descrittiva non coincide fino in fondo con la realtà della percezione del lettore.
Per il ricercatore che descrive, è reale la gerarchia dei testi, «come se fossero inclusi l’uno nell’altro». Per il lettore, invece, è reale un solo, unico testo, costruito dall’autore.
Il genere può essere oggetto di una descrizione come se fosse un testo unico, ma non può essere percepito esteticamente come un testo singolo. Nella ricezione dell’opera, colui che riceve l’informazione considera «tutto ciò che è costruito sopra il testo come una gerarchia di codici», che servono a «rivelare la semantica nascosta di un’unica opera d’arte», data come realtà.
Lotman evidenzia così la necessità di una classificazione complementare dell’aspetto emittente-ricevente per definire compiutamente il testo artistico.
Le diverse esecuzioni di una parte teatrale, di un’opera musicale o di un soggetto pittorico — come nel caso di una “Madonna con il Bambino” — possono essere percepite in modi diversi:
- da una parte, come ripetizioni dello stesso testo, ovvero come varianti dell’invariante (quando la differenza non è colta);
- dall’altra, come testi differenti e persino opposti, se il ricevente distingue le variazioni.
Lotman richiama alcune osservazioni frequenti tra destinatari non preparati, che affermano: “all’Ermitage c’è sempre la stessa cosa”, oppure “tutte le icone sono uguali”, o ancora “è impossibile distinguere l’uno dall’altro i poeti del XVIII secolo”. In questi casi, le differenze non vengono riconosciute, e le opere vengono percepite come ripetizione del medesimo testo.
Tuttavia, nella prospettiva analitica, queste ripetizioni possono essere ricondotte a varianti strutturalmente definite, o invece considerate testi distinti in rapporto a funzioni culturali e contesti differenti. Lotman conclude così la sua riflessione sul testo artistico, articolando una distinzione netta tra analisi metalinguistica e esperienza estetica del ricevente.
Riferimento bibliografico:
J. Lotman, Il concetto di testo, in La struttura del testo poetico, trad. it. di E. Bazzarelli, E. Klein, G. Schiaffino, Mursia, Milano 1972, pp. 67–71.