Nel corso di un insegnamento universitario dedicato alla semiosi ermetica, Umberto Eco sviluppa un’ipotesi interpretativa che si articola a partire da un criterio fondato sulla somiglianza universale. Si tratta, egli scrive, di un “modo di pensare” che riconosce un legame tra microcosmo e macrocosmo, tale da produrre – in tempi preistorici come in epoche storiche – «la fiducia nella possibilità di agire sul simile attraverso il simile». Su questo principio si fondano molte pratiche magiche: non solo le forme arcaiche, ma anche quelle rinascimentali e moderne, comprese le degenerazioni ottocentesche e contemporanee dell’occultismo.
Perché questo tipo di fiducia possa sorreggersi, osserva Eco, «occorre che una metafisica e una fisica della simpatia universale si reggano su una semiotica (esplicita o implicita) della somiglianza».
Sulla base di tale assunzione, Eco si propone di costruire un «modello forte di semiosi ermetica», identificandone la presenza ricorrente attraverso epoche e sistemi concettuali apparentemente incompatibili. A differenza di Michel Foucault, che nel suo Les mots et les choses aveva descritto la dissoluzione del paradigma della somiglianza tra Rinascimento e Seicento, Eco intende dimostrarne la sopravvivenza anche nell’epoca moderna, «in forme riconoscibili e documentabili».
La genealogia della semiosi ermetica – così come delineata da Eco – prende forma già nei primi secoli dell’era cristiana, in particolare nel Corpus Hermeticum, e prosegue nel Medioevo, fino a raggiungere il pieno trionfo con l’umanesimo e l’ermetismo rinascimentale e barocco. Ma soprattutto, afferma Eco, essa non si estingue con l’affermarsi della scienza quantitativa galileiana. Il pensiero ermetico – e con esso l’idea di una somiglianza universale – «continua parallelamente al pensiero della quantità», talvolta intrecciandosi con esso, più spesso opponendovisi, ma mai come forma marginale o bizzarra.
Anche gli scienziati moderni, osserva Eco, come Newton, pur elaborando «una spiegazione fisico-matematica dell’universo», affiancavano alla loro ricerca ufficiale un interesse per le «essenze qualitative, le forze occulte, la speculazione cabalistica». Lo stesso accade, in vari momenti della storia del pensiero, quando il filone ermetico alimenta alcuni grandi sistemi dell’idealismo trascendentale o interi filoni della pratica ermeneutica.
Eco sottolinea come il pensiero della somiglianza universale, lungi dall’essere circoscritto a margini esoterici o irrazionali, giunga a creare parentele inattese fra autori e scuole: «Joyce o Borges, Kandinskij, Jung, i nuovi studi di mitologia, alcune teorie scientifiche…» appaiono accomunati da questo “gioco di prestiti comuni”.
Nell’opera di Gilbert Durand, Science de l’homme et tradition, Eco individua un esempio emblematico di lettura ermetica del pensiero moderno. Sebbene definisca il libro «discutibilissimo per il suo entusiasmo fideistico», ne riconosce la capacità di evocare accostamenti suggestivi. Durand, scrive Eco, vede il pensiero contemporaneo percorso da un “soffio vivificatore di Hermes” che si esprime in autori tanto diversi quanto Nietzsche, Husserl, Pauli, Bachelard, Foucault, Derrida, Barthes, Chomsky, Greimas, Deleuze.
In questo contesto, Eco afferma la necessità di costruire un modello teorico per riconoscere una forma di pensiero «fondato sulla somiglianza a ogni costo». Il punto non è se gli esseri umani producano giudizi sulla base di somiglianze – questo è “indiscutibile” – ma come distinguere tra somiglianze rilevanti e somiglianze arbitrarie o casuali. La semiosi ermetica, allora, è un esercizio sistematico che trasforma il sospetto in metodo, cercando un senso ulteriore anche nelle analogie più deboli e nei legami più remoti.Riferimento bibliografico: Umberto Eco, La semiosi ermetica e il “paradigma del velame”, in L’idea deforme. Interpretazioni esoteriche di Dante, a cura di Maria Pia Pozzato, Milano, Bompiani, 1989.