Francesco Galofaro introduce la sua indagine epistemologica proponendo una ricostruzione alternativa della storia della semiotica, intesa non tanto come successione cronologica di teorie, quanto come esplorazione delle vie non percorse. Tra queste, occupa un posto centrale la nozione di metasemiotica, introdotta da Louis Hjelmslev, che Galofaro propone di rileggere in chiave critica.
Il termine “meta-” entra nel lessico della semiotica moderna attraverso I fondamenti della teoria del linguaggio, uno dei testi principali della glossematica hjelmsleviana. In tale opera, secondo Galofaro, Hjelmslev tenta non soltanto una descrizione rigorosa del linguaggio, ma anche una unificazione epistemologica tra le scienze, fondata su un’idea condivisa con Kant: solo la forma è conoscibile. In questa prospettiva, la semiotica si configura come teoria generale della forma, sia linguistica che non linguistica.
Per Hjelmslev, infatti, tutte le discipline indagano la materia come forma. La linguistica stessa, intesa come metasemiotica, diventa scienza delle forme del linguaggio e delle loro relazioni. La forma, in questo quadro, è ciò che permette la conoscenza, mentre la materia non ha esistenza autonoma, ma è sempre sostanza per una forma.
Secondo Galofaro, l’ambizione hjelmsleviana di fondare la linguistica come metasemiotica ha come presupposto la possibilità di collaborazione tra tutte le scienze. In particolare, il linguista danese ritiene che le scienze, pur indagando oggetti differenti, possano dialogare attraverso strumenti formalizzati condivisi. Per esempio, la fisica, la psicologia, la sociologia e l’etnologia possono interagire con la semiotica quando essa si occupa rispettivamente della sostanza dell’espressione o della sostanza del contenuto.
A partire da questa impostazione, Hjelmslev introduce una distinzione che Galofaro ritiene fondamentale: quella tra semiotiche connotative e metasemiotiche. Le prime sono semiotiche non scientifiche, in cui almeno uno dei piani (espressione o contenuto) è una semiotica, ma l’analisi non rispetta il principio empirico. Le seconde, invece, sono definite come semiotiche scientifiche, e si fondano su operazioni formali rigorose. In altri termini, non è la struttura formale della semiotica a determinarne la scientificità, bensì il metodo adottato.
Galofaro sottolinea come Hjelmslev abbia cercato di distinguere con chiarezza le diverse tipologie di semiotiche attraverso una gerarchia teorica:
- semiotiche denotative (rango I),
- semiotiche connotative e semiologie (rango II),
- metasemiotiche e metasemiologie (rango III).
Tuttavia, tale classificazione non è meramente descrittiva: essa implica anche un’ipotesi di complementarità tra le discipline, secondo la quale la fisica subentra dove si esaurisce l’analisi metasemiotica dell’espressione, e la psicologia dove si esaurisce quella del contenuto. È una prospettiva che implica l’unificazione delle scienze a partire da un impianto epistemologico comune.
Ma è proprio su questo punto che Galofaro introduce la prima critica: se la semiotica vuole proporsi come fondamento epistemologico per tutte le scienze, su cosa può fondarsi la semiotica stessa? La risposta hjelmsleviana, secondo cui la metasemiotica coincide con la linguistica, appare problematica. Una teoria che si vuole scientifica deve poter esplicitare i propri postulati e definire i propri strumenti. Tuttavia, sottolinea Galofaro, nella concezione hjelmsleviana la semiotica non include i propri stessi fondamenti: non definisce ciò che intende per “teoria”, né chiarisce i propri termini primitivi.
Questa aporia conduce a una conclusione paradossale: una metasemiotica non può fondarsi su se stessa, pena incorrere in un regresso all’infinito. Galofaro riprende qui la celebre immagine del barone di Münchhausen, che si solleva dalle sabbie mobili tirandosi per le stringhe degli stivali: una metafora del tentativo impossibile di autogiustificarsi.
Pur riconoscendo l’importanza del progetto hjelmsleviano e il suo contributo alla riflessione sulle scienze umane, Galofaro invita a riconoscerne i limiti epistemologici strutturali. La semiotica non può essere la scienza delle scienze se non è, a sua volta, dotata di una riflessione metateorica coerente. Per questo, conclude, è la metasemiotica stessa ad aver bisogno di una epistemologia.
Riferimento bibliografico: Francesco Galofaro, METASEMIOTICHE. Una ricognizione epistemologica