La semiotica delle prime fasi di vita può apparire, a uno sguardo superficiale, come un’impresa puramente speculativa. Ma non è così. Patrizia Violi suggerisce che, se vogliamo affrontare empiricamente il problema dell’origine del senso, dobbiamo rivolgerci all’ontogenesi: in particolare, ai primi mesi di vita del neonato e alla relazione madre-bambino prima dell’acquisizione linguistica.
È qui, nel vivo delle interazioni precoci, che si rende osservabile la semiosi in atto, sotto forma di attività significativa non ancora mediata dal linguaggio. Grazie allo sviluppo delle tecniche di videoregistrazione, l’Infant Research ha reso possibile l’analisi fine di queste dinamiche, aprendo un panorama del tutto nuovo sulla prima infanzia.
Un soggetto già competente
Contrariamente a quanto sostenuto dalle teorie classiche, oggi sappiamo che il neonato non è né fuso simbioticamente con la madre né privo di capacità discriminative. Fin dalle prime ore di vita, egli distingue tra stimoli sensoriali diversi, riconosce l’odore del latte materno, è in grado di discriminare la voce della madre tra altre simili, e orienta lo sguardo nello spazio.
Ma soprattutto, i neonati manifestano una competenza imitativa precoce. Esperimenti condotti da Meltzoff e Moore (1977) dimostrano che, a poche ore dalla nascita, i bambini sono capaci di riprodurre movimenti facciali come l’apertura della bocca o il mostrare la lingua. Si tratta di comportamenti che non possono essere spiegati in termini di esperienza appresa, e che suggeriscono una predisposizione innata alla interazione significativa.
Semiosi senza coscienza?
Se il neonato è capace di imitare prima ancora di avere una forma cosciente di intenzionalità, allora si può affermare che la semiosi precede la piena coscienza. Violi sottolinea che semiosi e coscienza non sono termini coestensivi: esistono comportamenti semioticamente significativi anche in assenza di intenzionalità consapevole.
L’ipotesi è che vi sia una forma originaria di semiosi “senza coscienza” – o comunque senza una coscienza come la intendiamo negli adulti – capace tuttavia di generare scambi, reazioni, risposte organizzate. È questo il caso dell’esperimento definito still face (Tronick et al., 1978).
L’esperimento del volto immobile
In una situazione di gioco, si chiede alla madre di interrompere ogni interazione con il bambino e di mantenere il volto completamente privo di espressione per due minuti. I bambini, già prima dei tre mesi, reagiscono con stupore e disorientamento. Cercano di “riattivare” la madre: la toccano, sorridono, si avvicinano. Quando questi tentativi falliscono, subentrano comportamenti differenziati: pianto, ritiro, auto-consolazione.
Queste reazioni dimostrano la capacità del bambino di percepire una variazione significativa nel comportamento altrui, e di elaborare strategie diverse in risposta. Secondo Violi, siamo qui all’interno dello spazio C ipotizzato da Eco: uno spazio di libertà e semiosi, non riducibile a reazione meccanica.
Un dialogo di gesti e affetti
Quello che emerge è un universo relazionale ricchissimo: il neonato non è un essere chiuso nel suo narcisismo primario (come pensava Freud), né immerso in una fusione indifferenziata con la madre (come suggeriva Mahler), ma è capace di distinguere l’altro da sé e di costruire con lui una dinamica significativa.
Stern parlerà, a proposito di queste interazioni, di danza interattiva: un coordinamento tra madre e figlio che dà luogo a forme complesse di sintonizzazione semiotica, anche in assenza di linguaggio.
Una semiosi sincretica
Il corpo è al centro di questa prima attività semiotica: un corpo che sente, si muove, esprime, riceve. Il linguaggio, nella sua forma acustica, è per il neonato suono, ritmo, prosodia – musicalità sensibile prima che codice. Il neonato è un corpo semiotico: veicolo primario di senso, organo recettivo e dispositivo di articolazione.
Nei primi mesi di vita, il corpo non è solo mezzo per percepire o reagire, ma già struttura differenziale: il pianto che si interrompe, il volto che si volge, lo sguardo che si fissa. In tutti questi casi si può osservare un uso semiotico dei segnali corporei, ossia una relazione espressiva che rimanda a un contenuto, secondo la definizione classica della semiotica.
Non un prima, ma un insieme
Violi rifiuta infine l’idea di un senso “pre-linguistico” che venga poi sostituito da quello linguistico. Più adeguato è pensare a una coesistenza di regimi di senso diversi, che sopravvivono nella nostra esperienza. Il neonato semiotico non scompare: anche da adulti, nelle nostre reazioni corporee quotidiane, nei gesti inconsci, nei ritmi dell’interazione, restano attivi gli stessi meccanismi originari.
Riferimento bibliografico: Patrizia Violi. Il senso prima del linguaggio. Appunti per una proto-semiotica