Claudio Paolucci propone una riformulazione epistemologica della semiotica, contrapponendo due immagini forti: Cinecittà e Atene. Non si tratta, scrive, di rappresentare il senso come se fosse già dato, ma di occuparsi delle condizioni in cui esso si produce. Cinecittà è il luogo in cui si fabbricano mondi. È lì che la semiotica deve stare: non nella città della contemplazione, ma in quella della costruzione.
La critica di Paolucci si rivolge all’idea di una semiotica fondata su un’immagine simulacrale del senso, costruita a partire da metalinguaggi autonomi che simulano la produzione senza realmente produrre nulla. In questo modello, la semiotica si limita a mettere in scena processi già noti, muovendosi interamente all’interno del proprio sistema descrittivo. A questa prospettiva, Paolucci oppone l’idea di una semiotica capace di intervenire, non solo di rappresentare.
Per chiarire questa distinzione, richiama due concetti elaborati da Umberto Eco: la ratio facilis e la ratio difficilis. La prima è la logica dell’analisi applicata a testi e forme stabilizzate. La seconda è la logica della produzione, che affronta oggetti ancora non interpretati, situazioni in cui le condizioni del senso sono da inventare. Paolucci colloca la semiotica nella ratio difficilis, quella che lavora dove non esiste ancora una regola culturale disponibile.
Un passaggio cruciale è quello che riguarda il modo in cui la cultura si rapporta alla materia. L’acqua, il vino, il corpo: tutti questi elementi, scrive Paolucci, non sono mai “puri”, ma sempre già commensurati da pratiche interpretative. La semiotica non lavora su dati originari, ma su oggetti culturali già formattati da stereotipi, abiti e grammatiche. Ogni materia è materia interpretata.
Il compito della semiotica non è quello di decodificare un senso nascosto, ma di interrogare il modo in cui la cultura costruisce la significazione, attraverso dispositivi, pratiche, modelli. L’analisi deve mostrare come qualcosa diventa significativo, in quale contesto, sotto quali condizioni, con quali effetti.
Paolucci insiste: il senso non è qualcosa che si rivela, ma qualcosa che si rende visibile. Non si tratta di mostrare ciò che c’è, ma di comprendere come un oggetto diventa interpretabile. L’apparenza è una costruzione. La semiotica non deve accontentarsi di analizzarla, ma deve risalire alle operazioni che l’hanno resa tale.
L’esempio di Cinecittà è eloquente. Non si tratta di capire cosa c’è “dietro” le quinte, ma di osservare come le quinte vengono montate, come la scena prende forma, con quali scelte e attraverso quali convenzioni. È questa la logica che guida la proposta di una semiotica materialista, contestuale, storicamente situata.
Riferimento bibliografico: Claudio Paolucci, Strutturalismo e interpretazione. Ambizioni per una semiotica “minore”, Milano, Bompiani.